Pastilli: in Calabria le castagne sono dolci come i nonni
Paula ha li vallàri,
ma Montàutu ha li pistilli
piglia chisti e lassa chilli
si tu vecchio vo’ campà
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Paola (prov. di Cosenza) ha le castagne bollite
ma Montalto Uffugo (prov. di Cosenza) ha i pastilli
prendi questi e lascia quelli
se vuoi vivere più a lungo (o se tu, vecchio, vuoi vivere)
dalla Guida gastronomica d’Italia del Touring Club Italiano
Se immagino una frase da accostare alla mia terra direi: la semplicità attraverso i ricordi dei nonni.
Per oggi niente foto di qualità e lunghi testi di approfondimento.
Solo foto e parole che provano ad essere genuine come questo alimento di cui vi racconto, come le cose buone della mia Calabria.
Castagne, il calore dei vecchi focolari e i meraviglioso racconti dei nonni.
Devi sapere che, tra i ragazzi che mi stanno particolarmente vicino dandomi sostegno e aiuto col blog c’è Ilenia, cetrarese come me, appassionata d’arte (si sta laureando all’Accademia di Belle Arti di Catanzaro) e con una nonna dolcissima: Nonna Giulietta.
Tra le tante foto che Ilenia mi manda spesso su Whatsapp, qualche giorno fa ha cosparso di zucchero la mia giornata grazie al ritratto della sua nonna intenta a preparare i “pastilli” comprati sabato al mercato del mio paese natio, Cetraro (CS).
Cosa sono i “pastilii”?
Sono le castagne secche.
Tutto qui, penserai. Questa infatti era la descrizione nuda e cruda.
Per me i pastilli sono molto di più.
Potrei dirti che i pastilli vantano la certificazione di Prodotto Agroalimentare Tradizionale della Regione Calabria (trovi tutta la lista qui) ma non è questo il concetto che voglio trasmettere. Voglio parlare di passato, di tradizione e di genuinità.
I pastilli sono il ricordo di momenti remoti, il simbolo dell’attesa dei bimbi poveri di una volta per avere un dolcetto che regalava felicità, la riminescenza di un passato che non dovremmo scordare.
Sul mio Whatsapp, insieme alle foto di Ilenia c’è una nota vocale di una tenerezza infinita: nonna Giulietta racconta di quando a Rota Greca (CS), il paese calabrese in cui ha vissuto prima di trasferirsi a Cetraro, per i bambini come lei era una festa mangiare quello che noi “bimbi” fortunati di oggi chiameremmo banalmente snack.
Per preparare i pastilli (chiamati anche pistilli, pastiddhi, pastiddre) si prendono le castagne crude e si mettono a essiccare “supra ‘i carzuli“, cioè sopra una specie di vassoi fatti a mano con canne intrecciate dalle sapienti mani artigiane calabresi.
La “carzula” è un oggetto che amo e che ti mostro in questa foto scattata a casa di papà mentre preparavamo nel camino “i’ ruselli“ (le caldarroste). Papà aveva riposto alcune castagne a seccare sulla “carzula” realizzata a mano dal suo migliore amico Giuseppe.
Non trovi che sia un’arte prodigiosa?
Tornando ai pastilli, le castagne disposte sulla “carzula” si fanno essiccare al sole o all’interno di stanze con acceso “’nu fucularu“, un fuoco ardente il cui calore ne velocizza il procedimento.
Una lavorazione lunga, dalla durata variabile e che prevede il girare di tanto in tanto le castagne per uniformarne essiccazione e colorito.
Una volta pronte, le castagne sono diventate durissime e raggrinzite e quindi ”si “scorciènu” dice nonna Giulietta, cioè si sbucciano per poi essere bollite in acqua, sale e foglie di alloro.
Ah, quanto adoro l’alloro. Se mi chiedessi di associare a qualcosa la mia amata nonna Carmen (mamma della mia mamma), io ti direi proprio il “làvaru” che mi prepara sempre come tisana da quando ero piccola come cura ai mal di pancia, dopo averne seccato al sole di Calabria le profumatissime foglie. E io a Milano lo custodisco gelosamente come dono che mi fa prima di ogni partenza. Eccola nelle foto che le ho scattato davanti casa nostra a Cetraro (CS).
Ascoltando la voce di nonna Giulietta è uno scrigno quello che si apre. Proprio lo scrigno che abbiamo chiuso magari in un cassetto dell’armadio perché custodisce qualcosa di prezioso. E alzandone il coperchio con discrezione ecco tuffarci nel passato con gli occhi che si illuminano di stupore nell’ascoltare la voce di chi ha vissuto periodi di povertà.
Oggi stiamo aprendo quello scrigno ascoltando nonna Giulietta raccontare di come ai suoi tempi, dopo la bollitura, chi era più fortunato gustava i pastilli abbracciati dall’olio d’oliva proprio come ha fatto lei ora per la nipote Ilenia e il resto della sua famiglia.
Una dolcezza per il palato che oggi può sembrare “niente di che”, quel niente di che al sapore di affumicato e semplicità, preparato da mani segnate dalle rughe del tempo e colme di affetto.
E lo scrigno è un qualcosa che non vorrei chiudere mai, come quando anche Nonna Carmen mi racconta che per bollire i pastilli usavano “‘u vrascìeri“ (antico recipiente con le braci per riscaldare sé stessi e l’ambiente) sopra il quale riponevano “‘u tianièllu ‘i crita“, una piccolissima ciotola di argilla che nonna conserva ancora. Nelle foto vi mostro i due oggetti.
Pensa, 7 figli e 2 genitori che dovevano dividersi quelle poche castagne secche che entravano in un piccolo piatto, ma che non vedevano l’ora di sedersi vicini intorno al fuoco per raccontarsi la giornata trascorsa.
E per questo rifletto su quanto siamo fortunati ora che non ci manca nulla e diamo per scontato molto.
Penso a quanti giovani non hanno avuto la fortuna come me di ascoltare la voce dei nonni dai capelli argento raccontare storie che valgono come l’oro.
Che se poi oggi abbiamo tutto e a molte cose non ci facciamo caso non è neanche colpa nostra e non dobbiamo certo farcene una colpa.
Ma una scelta consapevole la possiamo però fare ed io la voglio fare: aprire lo scrigno e ascoltare quante più “biblioteche viventi” mi sia possibile, ascoltare e sentire, perché sentendo provo a rivivere e a non dimenticare.
Grazie nonni.